Orientamento al mercato od orientamento a tutti i mercati?

Orientamento al mercato od orientamento a tutti i mercati?

Analytics e big data: da tempo la letteratura di settore non produce alcunché che non contenga, ripetutamente, questi concetti, declinati spesso con interpretazioni non coincidenti.
Qualcuno sostiene, cambiando radicalmente ottica, che l’architrave logica sia costituita dalla relazione “BIG DATA – ANALYTICS – BUSINESS”.

Noi siamo abituati ad operare nelle PMI e, ancora, non riusciamo a tradurre in una proposta di servizio l’idea che pannolini e birra possano stare insieme.
In tanti corsi di marketing odierni si sottolinea come esista una correlazione tra la vendita dei due prodotti legata al fatto che i papà, che girovagano nel supermercato per cercare i pannolini per il loro bimbo, comprino, nel frattempo, anche la birra per loro stessi!
E’ senz’altro una riflessione che gli strateghi di Wall-Mart o Food Lion devono tenere a mente e, ancor prima, devono estrarre dalla massa di dati di cui dispongono.
Peccato che, almeno nei supermercati che io frequento, veda pochi padri alle prese con l’acquisto dei pannolini e i consumatori di birra, quelli pervicaci, sono confinati in altri segmenti d’età: questo lo so!

Noi ripartiamo dal business, da quello già in essere, da quello che i nostri clienti realizzano nelle loro imprese, con i loro prodotti e sui loro mercati.
Ovviamente, non siamo sciocchi conservatori e ben sappiamo che dobbiamo offrire opportunità se vogliamo proporre positivamente le nostre soluzioni.
E, allora, concentriamoci sulle opportunità offerte dalle soluzioni di business intelligence.
Già sappiamo che la partenza non è facile: spesso, le basi dati su cui poggiano i software gestionali dedicati al supporto alle attività operative aziendali sono disegnate per favorire le attività di inserimento e modifica dei dati, tipicamente orientate a risolvere problemi di efficientamento, quantitativo e diretto, delle procedure, mentre sono tutt’altro che orientate alle attività di aggregazione ed interrogazione dei dati.
Questa è un’esigenza nata a posteriori e soddisfatta quasi incidentalmente!

Spesso i data owner aziendali sono persone che hanno scarse occasioni di confrontarsi tra loro, soprattutto sulla natura e consistenza dei dati in loro possesso.
Siamo proprio sicuri, ad esempio, che quando si parli di “famiglie di prodotti” il Responsabile di Produzione e quello Commerciale pensino esattamente agli stessi insiemi?
Spesso le fonti dei dati sono disomogenee proprio in relazione alla struttura dei dati in esse contenuti. Spesso le informazioni sono riconducibili a dati non strutturati.
Un recente studio indica che i dati non strutturati rappresentano almeno l’80 % dei dati di tutto il mondo. Questo significa che molte aziende oggi stanno prendendo decisioni critiche con solo il 20% dei dati a loro disposizione, che è strutturato e memorizzato nei database relazionali.
Quando si ragiona sulla costruzione del Data Warehouse aziendale occorre che la profilazione dei dati sia condivisa ed univoca, pena la costruzione successiva di report assai poco affidabili.
Questa è la premessa perché la soluzione di Business Intelligence che si va ad implementare produca analisi nelle quali siano risolti i problemi di:

  • frammentazione dei dati;
  • incompletezza;
  • affidabilità/validazione;
  • orientamento alle attività operative.

Solo allora ci sono le premesse a ché la soluzione di business intelligence implementata produca i benefici attesi, quelli propri di questo tipo di strumento: stimolare quelle azioni correttive che portano ad una serie di benefici economici.

Quali?

Possiamo suddividere i benefici economici, come sempre, in due grandi categorie: aumento di ricavi e riduzione dei costi, entrambe “misurabili” con le dovute attenzioni.
Esistono altresì alcune opportunità, legate all’adozione della business intelligence come pratica strutturale, che sono, per loro natura, scarsamente misurabili, se non in un orizzonte temporale molto profondo.
Citiamo, tra queste, il miglioramento del quadro delle relazioni, sia esterne che interne, il miglioramento dell’immagine aziendale nei confronti di tutti gli stakeholders e, più in generale, l’acquisizione di un’attenzione maggiore al quadro competitivo e alle logiche basate sull’efficacia delle azioni.

Aumento dei ricavi

A questa categoria appartengono voci come:

  • individuazione dei clienti più redditizi;
  • individuazione di matrici “clienti/prodotti” più redditizi e miglioramento delle politiche di prezzo/listin0;
  • individuazione di eventuali opportunità di cross selling;
  • miglioramento del livello dei servizi offerti alla clientela: maggiore tempestività e ricchezza delle informazioni, ivi compresa l’offerta eventuale di reportistica ad uso del cliente;
  • visione d’assieme ed analitica del processo produttivo e logistico con conseguente migliore saturazione delle performance quantitative.

Diminuzione dei costi

Ad esempio:

  • migliore “visione” del processo “offerta/ordine/consegna” e ottimizzazione degli investimenti marketing sul cliente;
  • miglior visione dei centri di costo e riduzione dei costi operativi;
  • analisi puntuale dei “colli di bottiglia” e riduzione degli “sprechi” attraverso azioni di pianificazione più informata;
  • migliore gestione delle scorte;
  • visione d’assieme ed analitica del processo produttivo e logistico con conseguente riallocazione delle risorse eventualmente eccedenti;
  • meno tempo dedicato alle attività di analisi e per la creazione di report.

Secondo il sondaggio Harvey Nash CIO Survey 2016, la priorità delle aziende è passata a progetti IT che generano fatturato (63 percento) da quelli che assicurano risparmi (37 percento). Stiamo parlando, ovviamente, di un’indagine effettuata tra grandi imprese, ma ci dà una indicazione di tendenza. Ci dice che la percezione degli investimenti in IT sta cambiando: non più una “spesa necessaria” e nemmeno più un “fattore abilitante”. Oggi, il responsabile IT, non deve solo garantire l’operatività aziendale, ma ha anche il compito di favorire la crescita dell’azienda attraverso una continua innovazione orientata al business.
In questo quadro, quando si parli di PMI italiane, è essenziale riuscire a proporre nella giusta prospettiva l’implementazione di soluzioni di business intelligence, senza alcuna remora “riduttivistica” per il timore di creare un effetto deterrente, in piena coscienza del “valore” delle proposte che si possono mettere in campo, sapendone gestire gradualità e prospettiva.
Perché se “conoscenza è coscienza” e, subito dopo, “coscienza è opportunità”, allora la capacità di investigare sui dati aziendali (quanti più dati) è la base fondamentale per orientare il business e creare nuovo business.

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