LE DIGITAL COMPANIES ITALIANE TRA PRESENTE E FUTURO

La sida delle digital companies italiane, tra risultati positivi ed intrinseche debolezze

Un recente studio di UnionCamere ed InfoCamere sulla dinamiche “natalità/mortalità” delle imprese italiane, evidenzia come le “digital companies” italiane creino più occupazione e più ricchezza tendenziale di quanto non avvenga per gli altri settori di mercato.

Però? ….però sono ancora un numero limitato, poco più di 120.000, pari al 2,3% delle imprese italiane.

Che si occupino di produrre software (e servizi connessi, di implementazione e supporto), che di commercio via internet, che di gestione dei dati per conto terzi, che siano internet service provider o gestori di portali web, tutte dimostrano una particolare dinamicità. Tant’è che, dall’inizio dell’anno, il comparto è cresciuto del 2,4%, mentre per la media delle imprese italiane il dato è del solo 0,6%.

Un altro dato importante è il fatto che il 12,5% di queste imprese è guidato da giovani con meno di 35 anni, mentre per le sole imprese nate nel 2017 il contributo degli under 35 si avvicina al 35%.

E’ chiaro a tutti come questo sia una sorta di precondizione che, quasi da sola, spiega la particolare dinamicità espressa dalle digital companies.

L’osservazione dei bilanci e della capacità di costruire lavoro sono altri elementi che sottolineano la vitalità e la positività del settore: negli ultimi due anni il valore della produzione è cresciuto a ritmi doppi rispetto agli altri settori, mentre in media le imprese del settore digitale occupano 5,4 addetti, contro una media del 4,5 riferita a tutte le imprese.

Questa situazione ci indica una esigenza duale: la necessaria crescita delle competenze digitali all’interno delle imprese utilizzatrici e l’altrettanto forte bisogno delle aziende del settore di trovare maggiori competenze da inserire nelle proprie strutture, sia in termini meramente quantitativi, sia, non meno, in termini di qualità del know-how.

E qui si apre, ovviamente il tema della formazione.

Occorre un raccordo più stretto tra esigenze del mercato, esigenze del settore digitale e mondo della formazione, da una parte, e occorre che il processo formativo non si intenda concluso con l’ingresso dei tecnici nel mondo del lavoro, dall’altra.

Visto il tasso di obsolescenza tecnica altissimo, diventa necessario immaginare processi di formazione continuata nel tempo (o “continua”), il cui processo ispiratore e quello attuativo non siano a carico soltanto dell’impresa.

Soprattutto, in una realtà come quella italiana, nella quale, pur in presenza del dato occupazionale medio precedentemente indicato come “positivo”, non sfugga il fatto contraddittorio che, a fronte del valore strategico delle competenze tecnologiche-informatiche e dell’elevato tasso di obsolescenza delle conoscenze stesse, le aziende non abbiano, se non in misura limitata, le dimensioni per gestire correttamente ed utilmente percorsi e strumenti di aggiornamento propri.

Questo aspetto, oltre che sul piano della formazione, impegna le imprese e il governo del paese nella ricerca di strategie di aggregazione, o per via societaria o per via commerciale, per aumentare la capacità di investimento in R&D.

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